Servizi per i cittadini: Pareri legali

L’ART. 15 DELLA LEGGE 96 DEL 2010 SULL’APPLICABILITÀ DEL DPCM 5/12/97

(dall’articolo dell’avv. Raffaele Pulerà [Foro di Milano] in: www.missionerumore.it)

Nel 2010 la legge n. 96 (comunitaria 2009) all’art. 15, lettera c), in materia di applicabilità del DPCM 5/12/97 nel rapporto tra acquirente e costruttore-venditore, ha modificato il 5° comma dell’art. 11 della legge n. 88/2009 (comunitaria 2008) e pone problemi interpretativi. Inoltre presenta sotto vari profili seri dubbi di legittimità costituzionale.

Occorre partire da più lontano.

Nel 2002 il legislatore comunitario ha emanato una direttiva per la determinazione e la gestione del rumore ambientale con l’obiettivo di definire un comune approccio per ridurre gli effetti nocivi del rumore ambientale (direttiva 2002/49/CE). La direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento nel 2005 (D.L. 194).

Gli strumenti principali attraverso i quali la direttiva si propone di raggiungere tale obiettivo sono la mappa acustica strategica e il piano d’azione. Si tratta di una vera e propria “programmazione generale” dei limiti consentiti in luoghi particolarmente esposti al rumore quali gli agglomerati urbani, le strade, le ferrovie, gli aeroporti, sulla base di parametri (“descrittori acustici”) comuni definiti dalla normativa comunitaria. Più in particolare, mentre la mappa acustica strategica definisce il limite di rumore consentito in una determinata zona, il piano d’azione contiene le misure per ottenere i risultati che la mappa si propone di conseguire.

Per coordinare questa programmazione di tipo generale con la normativa italiana vigente, la legge n. 306 del 2003 (comunitaria 2003) aveva previsto un decreto legislativo di riordino delle disposizioni legislative in materia d’inquinamento acustico. Ma la delega recata da tale provvedimento non è stata esercitata entro il termine previsto del 2004.

Nel 2009, con l’entrata in vigore dell’art. 11 della legge n. 88/2009 (comunitaria 2008), vi è un’ulteriore delega al Governo per integrare nell’ordinamento la direttiva comunitaria (2002/49/CE). Oggetto della delega è la riforma della normativa sull’inquinamento acustico e anche sui requisiti acustici degli edifici.

Veniamo ora all’art. 15 della legge n. 96/2010 (comunitaria 2009) alla lettera c), che prevede: “l’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447 [che istituisce il decreto sui requisiti acustici degli edifici], SI INTERPRETA nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, FERMI RESTANDO gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato“.

Sorgono vari problemi:

  1. L’articolo 15 si pone come norma di interpretazione autenticadi altra precedente norma, che è l’art. 3, comma 1, lettera e), della legge 447/95.

    Si osserva che la “norma interpretata” dispone, semplicemente e solamente, che la competenza a determinare i requisiti acustici passivi degli edifici appartiene esclusivamente allo Stato. La “norma interpretata” è chiara, non necessita di interpretazione e non ha dato adito a contrasti giurisprudenziali sul suo contenuto. Ne consegue, con gli effetti del caso, che la “norma interpretante” è una norma innovativa, quindi falsamente interpretativa.

  2. la disciplina relativa ai requisiti acustici … non trova applicazione nei rapporti tra privati”;Si osserva che il DPCM 5/12/97 è ancora in vigore e troverà applicazione nei rapporti con la Pubblica Amministrazione sino alla sua esplicita abrogazione o sostituzione. Quindi sotto l’aspetto pubblicistico la situazione rimane invariata.

    Pertanto, i limiti fissati dal DPCM 5/12/97 continuano ad essere i valori limite ai quali i Comuni nei regolamenti edilizi e d’igiene devono fare riferimento per il rilascio del certificato di agibilità/abitabilità. Inoltre, essendo il DPCM fonte di diritto gerarchicamente superiore ad un regolamento comunale, quand’anche il regolamento non citi i limiti del decreto, questi devono considerarsi implicitamente richiamati.

    L’espressione non trova applicazione nei rapporti tra privati -tenuto conto che la norma prevede il far salvi gli effetti delle sentenze passate in giudicato– equivale ad escludere la responsabilità dei costruttori/venditori di immobili e dei professionisti che non abbiano rispettato la normativa dei requisiti acustici.

  3. La non applicazione del DPCM 5/12/97 nei rapporti tra privati è temporanea sino all’emanazione dei decreti legislativi che il Governo su delega del Parlamento dovrà emanare “per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di tutela … dall’inquinamento acustico, di requisiti acustici degli edifici” così come previsto dal combinato disposto del 1° comma dell’art. 15 della legge 96/2010 e del 1° comma dell’art. 11 della legge 88/2009.

    Con la legge 88/2009 era previsto il termine di 6 mesi per l’emanazione dei decreti legislativi poi prorogato ad un anno con la legge 96/2010. Ma la delega è scaduta nel luglio 2010 e ad oggi nulla è stato fatto. Pertanto, essendo scaduto il termine, gli eventuali futuri decreti legislativi sarebbero viziati da eccesso di delegae come tali suscettibili di valutazione da parte della Corte Costituzionale per la loro inefficacia. Non essendo ragionevole una sospensione senza un termine e non essendo possibile oggi una legittima emanazione dei decreti delegati, si deve concludere per l’inefficacia del comma 1° dell’art. 11 della legge 88/2009 e, data la stretta correlazione, anche il comma 5° come oggi modificato non dovrebbe più avere forza cogente nel nostro ordinamento giuridico.

    Anche ammettendo che il comma 5°, come oggi modificato, continui ad essere in vigore, ci si chiede quali siano gli effetti sulle cause già pendenti tese a far accertare la responsabilità dei venditori/costruttori ai sensi degli artt. 1490 e 1669 c.c. per non aver rispettato i requisiti fissati dal DPCM 5/12/97. Il Giudice in attesa dell’emanazione di questi futuri decreti legislativi dovrebbe sospendere la causa a tempo indeterminato, violando in tal modo il diritto del cittadino ad un processo che duri tempi ragionevoli? O cos’altro?

  4. L’art. 15 lettera c) della legge 96/2010, nella sua ultima parte, fa salva la corretta esecuzione a REGOLA D’ARTE asseverata da un tecnico abilitato. Ciò si presta ad osservazioni critiche.

    In primo luogo, la norma non specifica cosa debba intendersi, con riferimento ai requisiti acustici degli edifici, per “regola d’arte”. Non esiste una definizione normativa di “regola d’arte”; tuttavia nella tecnica è da intendere come l’insieme di modalità operative attinenti a prassi, prescrizioni (diligenza, prudenza, perizia e osservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline) o soluzioni tecniche che soddisfano in  termini di economicità accettabile lo “stato dell’arte”.

    Lo “stato dell’arte”, invece, è definito nella norma UNI CEI EN 45020 del 1998 come segue: “stadio dello sviluppo raggiunto in un determinato momento dalle capacità tecniche relative ai prodotti, processi o servizi basate su scoperte scientifiche tecnologiche e sperimentali pertinenti”. Peraltro, spesso il legislatore, quando prescrive il rispetto della “regola d’arte” o di altri requisiti essenziali, rinvia a norme tecniche riconosciute, per assegnare alla loro corretta applicazione la presunzione di conformità ai requisiti cogenti. In altre parole, il legislatore indica una strada di comoda applicazione che sia certa per soddisfare la “regola d’arte”, come per i requisiti acustici degli edifici avendo previsto dei parametri precisi con il DPCM 5/12/97 considerati come requisiti minimi. Ed ancora, poiché lo “stato dell’arte” permette ai costruttori edili dell’Unione Europea di realizzare edifici con comfort acustico di gran lunga superiore ai valori del DPCM 5/12/97 (che sono tra i più blandi di quelli previsti dai Paesi membri dell’Unione Europea), si può addirittura affermare che la “regola dell’arte” sarà rispettata solo se vengono rispettati i valori medi dei requisiti acustici passivi previsti nei diversi Paesi dell’Unione Europea, che sono parecchio più restrittivi di quelli del DPCM. Il parere degli Autori è che la regola d’arte consiste nei valori europei medi oppure -volendo limiti più permissivi- si possono assumere i valori europei minimi, che sono praticamente uguali ai valori del DPCM.

    In secondo luogo, si osserva che il rispetto della “regola d’arte” è dovuto a prescindere dall’esistenza o meno di una relazione asseverata di un tecnico abilitato. Ne consegue che il mancato rispetto della regola d’arte nell’esecuzione dell’opera comporta sempre e comunque una responsabilità civile in capo a costruttori e figure professionali. Pertanto, la mancata esecuzione dell’opera alla “regola d’arte” incide sull’agibilità/abitabilità dell’immobile con compromissione della sua funzione economico-sociale di legittimo godimento del bene, e ciò a prescindere dall’esistenza di un certificato d’agibilità rilasciato dal Comune, data la prevalenza della sostanza sulla forma. Comune che in tal caso dovrebbe revocare l’agibilità/abitabilità dell’immobile.Come appare evidente, quindi, la sedicente norma interpretativa, lettera c) art. 15 legge 96/2010, proposta come emendamento durante l’iter legislativo, in realtà non chiarisce ma confonde, non semplifica ma complica.Gli Autori ritengono che la norma, avendo portata innovativa, in ogni caso non vada applicata alle concessione edilizie rilasciate prima dell’entrata in vigore della norma stessa, cioè prima del luglio 2010.

DUBBI SULLA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLA LETTERA C), ART. 15, L 96/2010

(segue dall’articolo dell’avv. Raffaele Pulerà [Foro di Milano])

Nelle disposizioni sulla legge in generale (Le disposizioni sulla legge in generale, dette anche preleggi, sono 16 articoli posti a premessa del Codice Civile) l’articolo 11 recita: “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

Nel successivo articolo 12: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.

Quando una disposizione normativa ha significato equivoco, con incertezza di applicazione e quindi contrasto giurisprudenziale sulla sua interpretazione, il legislatore con una NORMA D’INTERPRETAZIONE AUTENTICA, non innovativa, può scegliere quale delle varie interpretazioni sia da considerare quella “autentica”. Tale legge è retroattiva, dispiega i suoi effetti dal momento in cui la legge oggetto di interpretazione è entrata in vigore; con l’unico limite di far salvi gli effetti di eventuali sentenze passate in giudicato, cioè che hanno esaurito la serie di possibili impugnazioni.

Però, non è possibile mascherare da interpretazione autentica una legge innovativa. Infatti, la Corte Costituzionale (sentenza 04/04/90 n. 155) ha chiarito che: “Non ha carattere di interpretazione autentica una norma che, anziché chiarire il significato di una disciplina precedente ovvero privilegiarne una fra le più possibili interpretazioni, venga ad innovarne il contenuto. Nella misura in cui si ponga come interpretativa, e dotata conseguentemente di efficacia retroattiva, tale norma risulta perciò incostituzionale”.

Più in generale, le norme interpretative debbono in ogni caso sottostare ai principi costituzionali come ricordati recentemente dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 234/2007): “il legislatore può emanare sia disposizioni di interpretazione autentica, che determinano -chiarendola- la portata precettiva della norma interpretata, fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso della stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti”.

Anche, il Consiglio di Stato (sentenza n. 8513/2009) ha statuito che una norma interpretativa ad efficacia retroattiva può considerarsi costituzionalmente legittima a condizione che:

– si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente e che non adotti una opzione interpretativa non desumibile dalla ordinaria interpretazione della stessa;

– non indichi una soluzione interpretativa non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi.

Si ha violazione del principio di ragionevolezza, quando si riscontri una contraddizione all’interno di una disposizione legislativa, oppure tra essa ed il pubblico interesse perseguito. Il principio costituisce un limite al potere discrezionale del legislatore, che ne impedisce un esercizio arbitrario.

Orbene, la lettera c) dell’articolo 15 della legge n. 96/2010 è esplicitamente una disposizione interpretativa. Ripetiamola ancora una volta: “l’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, SI INTERPRETA nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, FERMI RESTANDO gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato“.

Il senso della norma interpretata – che è l’articolo 3, comma 1, lettera e) della legge n. 447 del 1995 – però, è chiaro e non necessita di alcuna interpretazione, né tanto meno di una interpretazione autentica, e non ha mai determinato contrasti giurisprudenziali in tale senso. Infatti semplicemente prevede: “Sono di competenza dello Stato: … la determinazione … con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri … dei requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti, allo scopo di ridurre l’esposizione umana al rumore.”.

La norma interpretata attribuisce semplicemente allo Stato la competenza a determinare i requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti, null’altro aggiungendo in merito all’applicabilità degli stessi.

Ed ancora, non si può neanche dubitare che il DPCM 5/12/97 – normativa pubblicistica sulle sorgenti rumorose e sui requisiti acustici passivi degli edifici – si applichi anche ai rapporti privatistici. Non vi era alcuna ragione ostativa, non vi era alcuna incertezza, ed infatti in questi anni è stata applicata senza che da alcuna parte fosse sollevato dubbio di sorta. Del resto è stato lo stesso Legislatore con l’art. 11 legge n. 88 – laddove ha disposto che la sospensione del DPCM 5/12/97 si applicava per i rapporti privatistici sorti dopo la sua entrata in vigore 5/12/97 – a riconoscere che fino ad allora egli stesso considerava applicabile detto DPCM 5/12/97 (anche) nel rapporto tra i privati.

Invece, l’aberrante e distorta disposizione normativa di cui alla lettera c) dell’articolo 15 della legge n. 96/2010 (mascherata formalmente come norma di interpretazione autentica), a differenza di quanto previsto dal precedente comma 5 dell’articolo 11 della legge n. 88/2010 (altrettanto aberrante) ha un effetto innovativo con efficacia retroattiva alla data dell’entrata in vigore della norma interpretata (legge n. 447 del 1995).

La norma in esame è, pertanto, una pseudo-norma di interpretazione autentica aldilà della definizione data dal legislatore perché manca il riscontro di indicatori obiettivi. Infatti, la norma di interpretazione autentica presuppone un contenuto equivoco, non chiaro, confuso – quindi suscettibile di interpretazione – della norma interpretata (che nel caso di specie è di una chiarezza letterale non discutibile) e la riconducibilità dell’interpretazione prescelta dal legislatore ad una delle alternative prima ammissibili. Inoltre, il dettato della norma interpretativa deve ridurre univocamente e non eccedere la portata precettiva teorica della disposizione precedente.

Invece, la disposizione normativa contenuta dalla lettera c) dell’articolo 15 della legge n. 96/2010, sostanzialmente, pur utilizzando l’espressione lessicale propria della norma interpretativa, ha in realtà introdotto una disciplina del tutto nuova, dotata di forza retroattiva. Pertanto, non configura una norma di interpretazione autentica, bensì una norma del tutto nuova. Concorre a convalidare questa lettura tanto il rilievo che la norma “interpretata” -molto lineare nella sua enunciazione- non ha dato adito a divergenze tali da richiedere una soluzione in via normativa, anzi non ha dato adito ad alcuna divergenza interpretativa; quanto la considerazione che la norma “interpretante”, anziché far emergere uno dei possibili significati della norma “interpretata”, ha aggiunto un elemento precettivo del tutto nuovo ed estraneo alla norma “interpretata” con efficacia retroattiva rispetto ai rapporti sorti tra venditore/costruttore di immobili e cittadino acquirente prima del mese di luglio 2010.

Senonché, l’articolo 15 lettera c) della legge n. 96/2010, anche per il suo contenuto retroattivo (e falsamente interpretativo) – oltre a incorrere in un eccesso di potere conseguente all’uso deviato dello strumento dell’interpretazione autentica – ha operato una lesione di alcuni valori costituzionali contemplati dagli articoli 2, 3, 24, 101, 111 e 113 della Costituzione  oltre che del principio generale della irretroattività delle leggi contemplato nell’articolo 11 delle disposizioni generali delle leggi che seppur non elevato, fuori dalla materia penale, a dignità costituzionale (art. 25, secondo comma, Cost.), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva una effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi in quanto la certezza dei rapporti passati costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini.

In conclusione, la norma prevista dall’articolo 15 lettera c) della legge n. 96/2010 è MANIFESTAMENTE INCOSTITUZIONALE per le seguenti ragioni:

  1. viola l’art. 2 della Costituzione, in quanto è suscettibile di produrre una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che hanno già conseguito, in via pattizia o giudiziaria, un risarcimento a fronte dell’acquisto di un immobile acusticamente viziato e coloro che, pur trovandosi nella stessa situazione, non possono, invece, più conseguirlo;
  2. viola l’art. 3 comma 1 della Costituzione in quanto:risulta viziata da irragionevolezza, trasmodando in un regolamento irrazionale ed incidendo arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti;risulta affetta da eccesso di potere legislativo, non essendo fondata su di una adeguata causa giustificativa, risultando comunque priva di natura interpretativa e, pur non abrogando il DPCM 5/12/97 nei rapporti pubblicistici (che tradotto significa che il Comune nel concedere il permesso di costruire e nel rilasciare il certificato di agibilità deve pretendere il rispetto dei requisiti acustici passivi in vigore) nello stesso tempo lo disapplica ai rapporti tra privati, con la conseguenza di non salvaguardare i diritti del cittadino che acquista l’unità abitativa e che è il vero destinatario degli effetti (ossia tutela dal rumore) che il DPCM 5/12/97 persegue;si presenta lesiva di vari principi di rilievo costituzionale quali la tutela dell’affidamento legittimante sorto nei soggetti quale principio connaturato allo stato di diritto e la tutela della certezza dei rapporti giuridici, della coerenza dell’ordinamento giuridico.
  3. viola l’art. 24 comma 2 della Costituzione in quanto irragionevolmente limita il diritto di difesa non permettendo la relativa azione dei proprietari degli immobili compravenduti nei confronti dei soggetti responsabili della non corretta esecuzione delle opere;
  4. viola gli artt. 101, 111 e 113 comma 3 della Costituzione in quanto si presenta lesiva di vari principi dell’autonomia della funzione giurisdizionale e del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, del giusto processo.

Alla luce di quanto esposto, tenuto conto delle numerose cause pendenti tra acquirenti di immobili e venditori/costruttori, si auspica che la questione venga sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale al fine di fare chiarezza.

Infine, poiché i tempi tecnici per addivenire ad una pronuncia della Corte Costituzionale sono comunque sensibilmente lunghi, con grave pregiudizio in ogni caso per coloro che hanno avviato azioni giudiziali invocando il DPCM 5/12/97, il giudice ben può applicare la regola d’arte per valutare la sussistenza o meno del lamentato vizio acustico dell’edificio. La domanda, infatti, in forza del principio “iura novit curia” (Letteralmente “Il giudice conosce le leggi”: principio giuridico in virtù del quale si afferma che spetta al giudice determinare quale deve essere la logica interpretazione di una legge), vincola il giudice in relazione ai fatti allegati ma non rispetto alle norme invocate, avendo il potere di qualificare liberamente la fattispecie dedotta in giudizio.

QUALCHE RIFLESSIONE SULL’ART. 15 L. 96/2010 (LEGGE COMUNITARIA 2009) A MARGINE DELLA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI LODI N. 1106 DEL 8/10/2010

(articolo dell’avv. Santo Durelli [Foro di Genova])

Ritengo quella del Tribunale di Lodi qui in commento una sentenza sostanzialmente giusta, corretta, con apprezzabili passaggi, quale, in particolare, quello in cui il Giudice riafferma in modo perentorio  la differenza fra la tollerabilità ex art. 844 c.c. ed i limiti amministrativi (dopo la legge 13 art. 6 ter è bene ribadire questo distinguo in ogni sede possibile, onde cercare di stroncare interpretazioni che vorrebbero mandare in quiescenza anticipata l’art. 844 lasciando quali unici limiti delle immissioni acustiche quelli previsti in via amministrativa).

Altri aspetti positivi della sentenza sono stati già stati evidenziati nell’ottimo commento di Mario e Samantha Novo.

E’ da rilevare peraltro che il Tribunale ha deciso la causa, in cui si controverteva di vizio di tipo acustico di immobile costruito nel 2005, applicando come parametro per l’accertamento della sussistenza o meno della carenza dedotta il DPCM 5.12.97 precisando che “le variazioni legislative successive non incidono su detta costruzione potendo trovare semmai applicazione solo relativamente alle opere che verranno realizzate dopo l’entrata in vigore della nuova normativa”.

Le variazioni legislative cui il Tribunale ha fatto cenno devono senz’altro individuarsi – non ve ne sono state altre in tema di requisiti acustici degli edifici – nell’art. 11 L. 88/2009 e nell’art. 15 L. 96/2010.

– La legge n. 88 è finalizzata a compiutamente recepire la Direttiva 25 giugno 2002, n. 2002/49/CE – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale.

– Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale.

L’art. 11 della L. 88 prevede una delega al Governo di adottare, entro sei mesi, uno o più decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di tutela dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dall’inquinamento acustico, di requisiti acustici degli edifici e di determinazione e gestione del rumore ambientale.

Il comma 5, che più interessa in questa sede prevede «In attesa del riordino della materia, la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge».

– Con la Legge 96-2010, in vigore dal 10/7/2010, il citato art. 11 è stato sostituito dall’art. 15 c. 1, lett.c) il quale dispone «In attesa dell’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, l’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447 (termine di emanazione che era stato prorogato ad un anno e quindi sarebbe scaduto il 29.7.10 n.d.r.) si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi restando gli effetti derivanti pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato».

Entro il termine del 29 Luglio 10, però, nessuno dei decreti legislativi preannunciati è stato emesso.

Il Giudice non spiega, non dà conto delle ragioni in base alle quali è pervenuto a questa conclusione.

E’ pur vero che, nella ricerca di velocizzare i tempi della giustizia, viene chiesto ai Giudici di rendere stringate e sommarie motivazioni (così da non perdervi troppo tempo a redigerle), ma se ciò può comprendersi laddove la sentenza afferisca questioni disciplinate da normativa chiara ovvero sulle quali si sia consolidata una univoca interpretazione giurisprudenziale, non altrettanto può dirsi per i casi, come la fattispecie in esame, in cui il quadro normativo è reso incerto dal susseguirsi di norme di recentissima emanazione e su cui pertanto non constano essere intervenute  precedenti pronunce.

Si ha la sensazione che il Giudice di Lodi sia  pervenuto ad una  decisione che ha percepito come quella sostanzialmente giusta ma che abbia omesso di considerare, al fine forse di sfuggire possibili complicazioni, il disposto di cui all’art. 15 Legge 4.6.2010 n. 96, che era stata emanata appena qualche mese prima che la sentenza venisse deliberata.

Ma per meglio capire il rilievo critico mosso alla sentenza occorre analizzare più da vicino le citate disposizioni di legge.

LEGGE 07.07.2009 n. 88

Bisogna chiedersi quali siano stati gli effetti della disposizione di cui al comma 5 dell’art. 11 sopra riportato.

A)  Sul piano pubblicistico, nessun effetto: il D.P.C.M. 5.12.97 continuava a trovare applicazione nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, essendo inequivoca la lettera della disposizione che limitava la “sospensione” ai rapporti privatistici. Quindi sotto l’aspetto pubblicistico la situazione rimaneva invariata.

B)  Sul piano privatistico, invece, la disposizione aveva effetti profondamente innovativi, stante che in base ad essa il D.P.C.M. 5.12.97 non poteva più trovare applicazione (quantomeno in via diretta, sul punto si ritornerà in seguito). Il Legislatore nell’emanare questa norma, pur avendo usato la espressione amplissima “rapporti tra privati”, ha perseguito sostanzialmente un ben determinato specifico obiettivo – questa quantomeno è la mia opinione – ossia non rendere applicabile il D.P.C.M. 5.12.97 tra  acquirenti e costruttori, in tal modo  sottraendo questi ultimi alla sola sanzione cui erano di fatto esposti (e perciò da loro temuta) in caso di vizio acustico, ossia l’azione di responsabilità intentata dal privato (è fatto notorio che le sanzioni pubblicistiche restano per lo più scritte sulla carta e raramente applicate).

La non applicabilità del D.P.C.M. non era retroattiva, disponendo il citato art. 11 c. 5 per i rapporti sorti successivamente” alla sua entrate in vigore.

Il D.P.C.M. è stato pertanto considerato senz’altro ancora applicabile in tutti quei giudizi in corso alla data del luglio 2009.

LA LEGGE 4.6.2010 n. 96

Vediamo gli effetti della mancata emanazione dei decreti legislativi nel termine  del 29 luglio 2010 e del sopra riportato art. 15.

A)   Sul piano pubblicistico, direi nessun effetto: il mancato rispetto del termine del 29 luglio ha avuto un effetto salvifico del D.P.C.M. 5.12.97, non essendo stata emanata alcuna nuova norma che valesse a sostituirlo, in tutto o in parte, e tenuto conto che nulla l’art. 15 specifica in merito ai rapporti tra costruttori e Pubblica Amministrazione. I Comuni pertanto dovranno continuare a richiedere la certificazione del rispetto dei limiti di legge al titolare del permesso di costruire. Nulla è cambiato, insomma, rispetto alla situazione precedente.

B)   Nei rapporti privatistici, in particolare tra costruttori ed acquirenti ed aventi causa, la norma ha portata fortemente innovativa.

L’uso del termine “si interpreta” ha in sé  effetti di portata rilevantissima.

Di norma le leggi interpretative servono a chiarire, illuminare ed esplicitare una legge preesistente, ed hanno carattere ed efficacia retroattiva, nel senso che il significato o gli effetti “nuovi” si considerano come se la legge interpretata li avesse avuti sin dalla sua origine.

Attribuendo natura interpretativa.alla norma il Legislatore, implicitamente, ma inoppugnabilmente, ha inteso far retroagire la non applicabilità ab initio della normativa sui requisiti acustici tra privati, facendo sì che in tutti i giudizi in corso venisse meno il parametro di valutazione che era stato assunto da coloro che, durante la sua vigenza, avevano avviato azioni giudiziali assumendo la violazione, per l’appunto, del  D.P.C.M. 5.12.97.

Questa norma “interpretativa”, già vigente – sia pur da poco – al momento della deliberazione della sentenza, rendeva inapplicabile al caso di specie il DPCM 5.12.97.

Avendo il Tribunale di Lodi ugualmente applicato il DPCM 5.12.97, si deve presumere che abbia ritenuto quella di cui all’art. 15 norma non avente natura interpretativa, e quindi non retroattiva, nonostante che il legislatore l’avesse qualificata espressamente come tale.

Ragionando in termini di stretto diritto questa sentenza viola una norma di legge, l’art. 15 della L. 96 per l’appunto che, piaccia o non piaccia, è legge vigente del nostro ordinamento.

Il fatto è però che, nella sostanza, la sentenza è giusta in quanto questa legge, pur definita interpretativa dal Legislatore, a ben esaminarla tale effettivamente non è, o meglio non può esserlo, difettando del tutto i presupposti – come dirò  nel prosieguo –  che i principi fondamentali e costituzionali del nostro ordinamento richiedono perché possa venir emanata una legge interpretativa.

Ed allora dobbiamo chiederci quale sia la strada giuridicamente corretta per evitare i guasti e le ingiustizie cui l’applicazione dell’art. 15 – ossia non rendere più applicabile il DPCM 5.12.97 ai giudizi in corso – potrebbe condurre.

Non ritengo che sia stata corretta quella seguita dal Tribunale di Lodi che, come ribadisco, ha evitato di affrontare il problema, limitandosi a non applicarla e liquidando la questione con la laconica affermazione “le variazioni legislative successive non incidono su detta costruzione potendo trovare semmai applicazione solo relativamente alle opere che verranno realizzate dopo l’entrata in vigore della nuova normativa “, pur di fronte ad una norma che il legislatore ha titolato come di natura interpretativa.

Ad  avviso dello scrivente due erano le opzioni consentite, tra loro alternative:

a) sollevare questione di legittimità costituzionale

b) decidere il caso facendo ricorso ed applicazione (non già al DPCM 5.12.97 ma) alle regole dell’arte.

Quanto all’opzione a).

Cominciamo con l’osservare che non è sufficiente che una norma si autoqualifichi come retroattiva perché lo sia effettivamente, occorrendo a questo fine un indefettibile presupposto, ossia che sussista un’incertezza oggettiva sul suo ambito di applicazione (in termini vedasi Consiglio di Stato 02 luglio 2002 n. 3612 “Perché una norma possa qualificarsi come interpretativa e quindi come retroattiva, nonché costituzionalmente legittima, è necessario che la stessa si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, che non integri il precetto di quest’ultima e, infine, che non adotti un’opzione ermeneutica non desumibile dall’ordinaria attività di esegesi della stessa).

Ebbene, non si può davvero dubitare che la normativa pubblicistica sulle sorgenti rumorose e requisiti acustici passivi degli edifici si applicasse anche nei rapporti privatistici. Non vi era alcuna ragione ostativa, non vi era alcuna oggettiva incertezza, ed infatti in questi anni è stata applicata senza che da alcuna parte fosse sollevato dubbio di sorta!

Ne consegue che la disposizione in parola, benché definita interpretativa dal Legislatore, in realtà costituisce nella sostanza una norma di natura innovativa (rispetto alla disposizione contenuta nel comma 5 dell’art. 11 della L. 88/2009), come tale legittimamente applicabile solo a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge che la contiene, quindi dal 10/7/2010.

Ed allora l’art. 15 L. 76/2010 che, autoqualificandosi come norma interpretativa, rende inapplicabile il D.P.C.M. 5.12.97 sin dalla sua emanazione nei rapporti privatistici, non potrebbe sfuggire alla censura di incostituzionalità.

Ha insegnato il Consiglio di Stato con la sentenza N.8513/09 che una norma interpretativa ad efficacia retroattiva può considerarsi costituzionalmente legittima (soltanto) a condizione che:

– la stessa si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, che non adotti una opzione ermeneutica non desumibile dalla ordinaria esegesi della stessa;

– l’efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica è soggetta al limite del principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico, con la conseguenza dell‘illegittimità costituzionale di una disposizione interpretativa che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi (Corte cost. 27 novembre 2000 n. 525).

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 155/1990 ha statuito che non ha carattere di interpretazione autentica una norma che, anzichè chiarire il significato di una disciplina precedente ovvero privilegiarne una fra le possibili interpretazioni, venga ad innovarne il contenuto. Nella misura in cui si ponga come interpretativa, e dotata conseguentemente di efficacia retroattiva, tale norma risulta perciò incostituzionale.

La disposizione di cui all’art. 15 L. 96 presenta tutti i crismi della incostituzionalità:

– il significato adottato (ossia la non applicabilità ab initio del D.P.C.M. 5.12.97 tra i privati) non è desumibile dalla ordinaria disamina del D.P.C.M. 5.12.97 e non è prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi;

– appare intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso promossi da acquirenti di immobili carenti di requisiti acustici contro costruttori e loro ausiliari;

– non sussisteva un’effettiva causa giustificatrice che consentisse di derogare al principio di irretroattività del nostro ordinamento ed, anzi, essa appare irragionevole ed in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti.

Il ricorso alle regole dell’arte

Muovo da due considerazioni:

1) La prima è quella per cui chi ha agito in giudizio contro il costruttore e/o venditore lamentando il mancato rispetto dei valori del D.P.C.M. 5.12.97 ha sostanzialmente e prima di tutto fatto valere carenze o inidoneità dell’edificio sotto l’aspetto acustico, per cui il riferimento al D.P.C.M. costituisce semplicemente, nell’ambito di una lite tra privati, uno dei parametri su cui il Giudice può fondare la decisione dell’accoglimento o meno della domanda. Ma da questa indicazione da parte dell’attore il Giudicante non è affatto vincolato e, anzi, vi può prescindere totalmente, a maggior ragione se detto D.P.C.M. non è più applicabile per disposizione di legge.

2) La seconda considerazione è quella che (nonostante le citate Novelle verrebbe da dire) la carenza di un immobile sotto l’aspetto acustico rimane pur sempre un vizio della cosa, che può rientrare negli  – ed  essere fatto  valere  in forza degli –  artt. 1490 e 1491 c.c., regolanti i vizi della cosa oggetto di compravendita, ovvero degli art. 1667-1669 c.c., in materia di appalto. Infatti, il Legislatore con le Leggi 88/2009 e 96/2010 stabilisce soltanto che gli edifici, sotto il profilo acustico, non devono  necessariamente rispettare le norme di cui all’art. 3, co. 1 lett. e) della L. 447-95, in quanto “sospese” e quindi del D.P.C.M. 14/11/1997, che sull’art. 3 fonda la propria legittimità.

Ne deriva che  per l’accertamento circa la sussistenza o meno del vizio acustico non sarà possibile basarsi sul citato D.P.C.M. Ma ciò non significa affatto che le Novelle abbiano espunto dalla gamma dei possibili vizi di un immobile compravenduto quello di tipo acustico, significa soltanto che quei vizi debbono essere valutati alla stregua di norme diverse dal D.P.C.M. 5/12/97.

Quali sono queste norme? Quelle dell’arte, vigenti al momento in cui la prestazione è resa. Anche chi opera nel campo della edilizia acustica non deve decampare mai nel rendere la sua prestazione dall’obbligo di seguire dette regole, e ciò in forza di un principio generalissimo del nostro ordinamento, sancito dall’art. 1176, co. 2 c.c. (dovere di diligenza) nonché dagli artt. 2043 c.c. e 43, co. 1, c.p., secondo cui è colposo l’evento che “si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

Ha insegnato la Suprema Corte con la sentenza n. 6171/1993 che dalla natura dell’appalto come contratto che ha per oggetto l’espletamento di un’attività da eseguirsi a regola d’arte con l’ausilio di regole tecniche deve trarsi il principio secondo cui l’esecuzione dei lavori non solo deve avvenire con l’osservanza della perizia che a ciascun campo di attività inerisce, ma anche l’impostazione dell’opera stessa, nella sua progettazione e nelle direttive generali, deve rispondere ad una funzionalità ed utilizzabilità tali da non renderla superflua.

Compito del Giudice, sarà quello di individuare quali siano queste norme in relazione al momento in cui è stata eseguita l’opera, ed in ciò egli ha margine di discrezionalità atteso il fatto che le regole dell’arte non vanno intese in modo assoluto, con riferimento cioè ai criteri della tecnica e con portata invariabile; esse devono invece adeguarsi alle esigenze e agli scopi cui l’opera è destinata secondo la sua funzione tipica, ed a quegli altri risultati che siano stati menzionati o siano impliciti nel contratto come elementi rilevanti (in tal senso  Cass. n. 5694/1979).

Quali potrebbero essere le regole dell’arte per la insonorizzazione degli edifici e sulle sorgenti sonore? Ne indico alcune, senza alcuna  pretesa di completezza:

A) le Norme UNI in materia di acustica edilizia;

B) le regole indicate dalla letteratura tecnica, in particolare  dei paesi comunitari;

C) le stesse regole del D.P.C.M. 5/12/97, benché sospese.

Sull’opzione C) si riporta il pensiero di insigne dottrina “Le due novelle sopra rammentate comportano solamente – come si è detto – che quella disciplina pubblicistica non si applichi ope legis, ma non escludono affatto che il giudice, in uno slancio di favore verso i costruttori-venditori, assuma i dati tecnici di cui al D.P.C.M. 5/12/97 come lo stato dell’arte del tecnico medio, cui far riferimento, a prescindere dalla fonte normativa. Altrimenti detto: il giudice è perfettamente libero di assumere i dati tecnici di quel D.P.C.M., estrapolandoli dalle fonti regolamentari in cui sono contenuti. Con l’effetto per cui il D.P.C.M., non come tali ma quanto al loro contenuto, saranno comunque applicati quali termini di riferimento per ordine del giudice, in quanto integrano il principio di diligenza nell’adempimento prescritto dall’art. 1176, co. 2 c.c. Infatti, poiché quei D.P.C.M. debbono essere applicati comunque, sul solo versante pubblico, consegue che il loro rispetto integra la diligenza nell’adempimento propria del professionista, e pertanto la loro violazione, ex art. 1176, co. 2 “. (A. Converso, “Le innovazioni subite dall’art. 844 c.c. Molto rumore per nulla.” in Atti Lombardia 2010, Convegno emissioni sonore da impianti di produzione, energia, interazioni con il territorio).

Percorrendo questa strada, ossia applicare le regole dell’arte nella valutazione della sussistenza o meno del lamentato vizio acustico dell’edificio, i giudizi in corso, nei quali l’attore ha invocato l’applicazione del D.P.C.M. 5/12/97, potranno procedere senza battute di arresto.

In conclusione, il Tribunale di Lodi, ad avviso dello scrivente (in alternativa a sollevare questione di illegittimità costituzionale) ben avrebbe potuto pervenire allo stesso identico risultato sostanziale cui è pervenuto ma con un adeguato  percorso motivazionale, del tipo :

– prendere atto che l’art. 15 della Legge n. 96 non rende più applicabile in via diretta il DPCM 5/12/97 (che risulta sospeso tra privati);

– ritenere che, venuta meno la applicabilità del detto DPCM il parametro da adottare per stabilire la sussistenza delle carenze acustiche è rappresentato dalle regole dell’arte;

– ritenere che queste possano coincidere con il contenuto tecnico di cui al D.P.C.M. 5/12/97;

– accertato dalla perizia eseguita in corso di causa che l’immobile non rispetta gli indici di cui al decreto, ritenere come sussistente il vizio lamentato e, conseguentemente, condannare il costruttore-venditore al risarcimento del danno.

Il che avrebbe evitato che la sentenza, per quanto giusta e condivisibile sotto il profilo sostanziale, si presenti fragile di fonte ad una eventuale impugnazione per violazione di legge.

Aggiungo che, per quanto consta allo scrivente, il Tribunale di Milano, con recentissima ordinanza resa in una controversia analoga quella di cui si è occupato il Tribunale di Lodi, ha demandato al perito di accertare il vizio acustico dell’immobile assumendo come parametro le regole dell’arte.